La Soyuz è rientrata dall’atmosfera
e io non ricordo la terra da cui provieni
il perché del volto oscurato
lo scrigno forzato
in una città rasa al suolo a cielo aperto.
Ho depredato quanto ho potuto.
Sugli scaffali non c’è più cibo, denaro
ma quattrocento bambini morti
e il tuo ritratto tra le auto.
E ogni mattina dimentico
le mani sul letto un po’ più a lungo,
il ghigno sul cuscino vicino
alla check-list delle intenzioni.
Alla tv inscenano
l’Allegoria del Buon Governo
e di quello cattivo, col tiranno
sul trono al centro dello schermo.
Fuori al piano, l’addetto alle pulizie
spinge l’acqua giù dal vano scale:
sembra un cane, che va incontro al suo padrone
o del sangue da una testa che si rompe.
Ti regalo il terremoto del fiore quando s’apre,
l’aria smossa dal timone quando gira
anche se quanto scambiamo non è vero.
La fornaia si è fatta sciatta.
Così il suo pane, il suo seno e mia madre
vuole che me ne vada
per poter fumare in pace. Più tardi,
le stelle saranno ragni o chiodi
per tenere su il tendone.
Eri l’odore.
Il varco alla moschea. L’arca.
La voce che leggeva Corona
e diceva Es ist Zeit, è tempo.
Ora c’è una povertà nelle strade.
Una pozzanghera
duplica il postino all’ingresso
e tu dietro che passi
con un’altra faccia.
Massimiliano Marrani (1969) è nato a Bologna dove vive e lavora come grafico. Tra le sue pubblicazioni: Jet Lag (Atelier 2008), Anche se gli alberi (LietoColle 2021) e Al largo nella città (Quaderni del Bardo 2021).
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